Eligio Gatti e Angelo Lepore: Pavia sia sempre città amica

DOMENICA, 06 GENNAIO 2008

Nel tentativo di fornire una risposta alla sollecitazione avviata dal professor Rugge, con un intervento sulla Provincia Pavese: quale visione possiamo avere di Pavia (e del suo territorio) in un prossimo futuro, si rischia di prendere un impegno difficile, forse impossibile.
Come si fa a definire o anche soltanto ombreggiare le caratteristiche future di una città, in tempi nei quali non soltanto le città, ma popoli e nazioni perdono e dimettono caratteri, particolarmente i più spiccati e distintivi, i più «caratteristici»?
Considerata la tendenza generale ad una omologazione di obiettivi, c’è da riconoscere la difficoltà, forse l’inanità, del proposito di cercare oggi, con tanta strada che ha fatto il mondo verso l’uguagliamento, caratteri urbani e civici distintivi. Diremo di più: sussiste, esiste oggi la città?
Si intende, la città non in significato di agglomerato edilizio, di centro abitato, determinato da motivi e opportunità strettamente pratiche; ma la città come creato di una cultura e civiltà proprie, e creatrice di una civiltà e cultura cittadine. Forse si dovrebbe ormai dire che una cultura in se stessa non può decorarsi di tal nome se non soprannazionale e internazionale.
Impegno impossibile dunque? Ma un pregio l’iniziativa del professor Rugge, a nostro parere, l’ha: siamo di fronte ad un intervento di un docente universitario che si preoccupa di definire il miglior futuro della città nell’interesse della città stessa, non dell’Università, come quasi sempre accade.
E’ un atteggiamento propositivo, che va apprezzato e che non ha numerosi precedenti (ci vengono in mente le molteplici e condivisibili battaglie per Pavia del professor Giulio Guderzo, e le altrettanto incisive prese di posizione del professor Franco Osculati, ma non riusciamo, forse per nostra disattenzione, ad allargare di molto il campo).
Per queste considerazioni, diciamo subito che non condividiamo l’opinione di chi, soprattutto nel mondo accademico, vede il futuro di Pavia come campus dell’Università, luogo di ricerca e di specializzazione, ma dipendente dall’ateneo. E’ una aspettativa interessata e debole. Se malauguratamente si realizzasse, rappresenterebbe un errore grave, antistorico che segnerebbe veramente il declino della città. Pavia è una gloriosa e bella città antica, sede di una altrettanto gloriosa e antica Università. Una città universitaria, non un campus, e in questa sua storica qualificazione deve trovare gli stimoli e le opportunità per cercare di sviluppare un suo specifico futuro (se di specificità si può ancora parlare).
Pavia, negli anni a venire, avrà i problemi economici, di ambiente, di viabilità, di sicurezza, di lavoro, di socialità, proprie delle altre città medie del nostro Paese; se una sua caratteristica vorrà conservare ed esaltare è nel campo della cultura e della formazione, della qualità della vita; nell’offerta di un ambiente qualificato, nella generosità dell’accoglienza.
Pavia deve rendere sempre più belli e fruibili da tutti i suoi monumenti; deve preservare un ambiente cittadino gradevole e stimolante; deve offrire strutture e programmi culturali di prestigio; deve saper accogliere coloro che vengono a vivere da noi, ricchi o poveri che siano, con disponibilità, tolleranza, amicizia.
Se dovessimo racchiudere in una formula il pregio che ci sembra proprio della civiltà pavese, e che va preservato, diremmo che in questa città operosa, pronta a rispondere alle richieste, aperta e disposta a tutto fuor che all’inerzia e alle ritrosie negative, in questo emporio non soltanto commerciale, ma anche intellettuale, si è sempre affermata ed esercitata un’arte umana, civile e cittadina assai più difficile e più utile della banale arte di vivere e lasciar vivere.
Questa, così definita, è una disposizione pigra, scetticamente trasandata. La qualità cui facciamo riferimento è invece cosa più rara e più degna, più qualificata. E’ quella per cui uno può vivere libero e sciolto, e magari anche solo, ma senza sentirsi solo e abbandonato, né perciò inclinato a malinconia. E’ città dove ci si può vedere ogni giorno, senza che questo diventi un obbligo; dove si può stare dei mesi senza incontrarsi, per poi ritrovarsi come se ci si fosse lasciati il giorno prima, senza rimproveri, senza meraviglie. Per cui Pavia noi la sentiamo, la definiamo, città amica e tale vorremmo che rimanesse in futuro sempre.
Ci sono le condizioni oggi, nelle istituzioni, nelle persone che ci governano perchè questo possa continuare ad essere? La intrigante domanda del professor Rugge chiedeva solo quale futuro volessimo. Ad essa, e non ad altro, vorremmo per ora rispondere.

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